Marzo

Salone dei Mesi


Francesco del Cossa
(Ferrara, c. 1436 - Bologna, 1478)
Marzo
affresco
parete est


Il mese di Marzo apre la decorazione della parete orientale del Salone.

La parte mitologica è dedicata al Trionfo di Minerva, assisa su un trono trainato da unicorni bianchi, simboli della purezza. La divinità è qui proposta come dea della giustizia e, seguendo l’Astronomica di Manilio, come protettrice del segno dell’Ariete. La sua tutela è estesa alle arti e alle mansioni femminili, come testimonia il gruppo di sapienti a sinistra e le donne intente a filare e a tessere a destra. Quest’ultima presenza è stata interpretata anche come esaltazione di Borso, il quale aveva favorito l’introduzione a Ferrara della lavorazione della seta e promosso le attività tessili.

Nella fascia mediana il segno dell’Ariete è accompagnato dai tre decani. A lungo interpretate come allegorie morali, esse rappresentano invece (come ha chiarito il grande storico dell'arte tedesco Aby Warburg nel 1912), figure mitologiche legate alla cultura divinatoria di matrice araba: in ciascun mese, tre per volta, esse sono chiamate a rappresentare le 36 decadi in cui si usava suddividere il cerchio astrologico. L'ideatore del ciclo, Pellegrino Prisciani, ha tratto ispirazione dal matematico e astrologo persiano Albumasar (IX sec.), i cui scritti, tradotti in latino, erano presenti nella biblioteca di corte, assieme ad altri come l’Astronomicon del poeta Mario Manilio (I sec.), determinanti per la creazione dei decani di Schifanoia.
Nel contesto di Marzo, l’uomo dalle pelle scura e il vestito stracciato è stato identificato col “vir niger” – che Albumasar riteneva essere la rappresentazione dell’antica costellazione di Perseo –, la donna al centro con la costellazione posta sotto la sovranità di Cassiopea, mentre l’elegante giovane a destra allude alla costellazione di Enioco.

Nella fascia “terrena”, come in tutto il ciclo, domina la figura di Borso raffigurato in tre distinte occasioni. Con didascalica chiarezza sono rappresentati gli effetti del suo buongoverno sugli uomini e sul territorio, generati dalle virtù ducali tanto osannate dalla letteratura di corte. Tali virtù si condensano iconograficamente nelle aree in cui Borso è rappresentato in piedi, quasi sempre all’interno di una quinta architettonica, attorniato dai suoi consiglieri, cortigiani e sudditi. Nel caso del Marzo, il riferimento alla giustizia è suggerito dall’iscrizione sull’architrave ornato da un profilo in rilievo all’antica dello stesso Borso.

Per quanto attiene lo stile, il nome di Francesco del Cossa fu speso per la prima volta in via ipotetica da Fritz Harck nel 1871, ipotesi confermata dal ritrovamento della lettera indirizzata da Cossa allo stesso Borso d’Este nel marzo 1470, in cui l’artista si dichiarava l’autore di «quilli tri campi verso l’anticamera», ovvero delle decorazioni della parete est.

Nell’ambito della cosiddetta “officina ferrarese” Francesco del Cossa occupa un posto di rilievo. Il suo instancabile sperimentalismo, animato da un rapporto privilegiato con la scultura e con la luminosa pittura fiorentina sua contemporanea, lo porta ad assumere il ruolo di antagonista nei confronti del linguaggio fantasioso e popolare di Cosmè Tura. Tale opposizione sfocerà in un aperto contrasto con la corte di Borso che porterà il pittore, scontento del trattamento salariale ricevuto, ad abbandonare Ferrara per Bologna dove diventerà l’artista prediletto dei signori della città, i Bentivoglio.