XI - Le ante d’organo di Cosmè Tura

Sono poche le opere che possono vantare, con la forza e la pregnanza che le ante d’organo di Cosmè Tura possiedono, un significato storico e un valore simbolico tale da trasformarle in emblema di una città, se non addirittura in icone di un’intera epoca.

Le quattro tele costituivano in origine gli sportelli dell’organo della Cattedrale, realizzato dal celebre organaro Giovanni da Mercatello, in origine collocato al centro dell’abside per poi essere spostato nell’ottava arcata della navata centrale. I dipinti rimasero legati alla cassa lignea fino al XVIII secolo, quando lo strumento quattrocentesco fu sostituito da uno nuovo. Le tele furono pagate al pittore nel giugno 1469: questa data appare cruciale per la ricostruzione della parabola artistica del celeberrimo caposcuola della “officina ferrarese”.

Le due ante d’organo, dipinte all’interno e all’esterno, erano destinate ad essere aperte e chiuse in relazione all’utilizzo dell’organo. A sportelli aperti erano visibili, a sinistra, l’Angelo annunciante [106] e, a destra, la Vergine annunciata [109]. Ad ante chiuse, invece, i fedeli potevano ammirare il grandioso San Giorgio e la principessa [107-108], una delle scene più drammatiche mai dipinte in Italia nel Quattrocento.

Nonostante l’inscurimento tipico delle tele dipinte a tempera grassa, l’opera testimonia ancora oggi tutta la potenza espressiva e la straordinaria fantasia rappresentativa di Cosmè Tura. La grandezza dell’artista ferrarese si coglie appieno in brani come la principessa, adornata di preziosi monili che riecheggiano le arti suntuarie così amate dagli Estensi, che fugge via terrorizzata o nell’indimenticabile san Giorgio, il cui cavallo imbizzarrito ha la medesima lucentezza materica delle sculture bronzee di Niccolò Baroncelli e di Domenico di Paris, attivi in quegli anni a Ferrara nella stessa Cattedrale.

Alla sinistra delle ante, si può ammirare l’intenso San Maurelio [110], piccola statua a lungo attribuita a Jacopo della Quercia, poi allo stesso Tura, che spetta, sulla base delle indicazioni documentarie, allo scultore toscano Paolo di Luca che la scolpì prima del 1458.